Basandoci su questa definizione non esiste nessuno che non sia progressista. Il fatto é che in Italia la concezione -ad opera di tutta una frangia politica e sociale e di coloro che, pur non essendone parte, ne subiscono influenza e condizionamento- riceve delle distorsioni e finisce per coincidere con la difesa e la promozione di tutto ciò che é diverso, derelitto, asseritamente (e spesso falsamente) oppresso o messo in pericolo o emarginato.
Secondo questa concezione chi non abbraccia queste spinte non é progressista o non lo é abbastanza.
Di qui la corsa, da parte di chi vuole a tutti i costi la patente di progressista doc, a prendere posizione e sostenere la causa e le ragioni di chi, in quel momento storico pur senza avere spesso una diretta appartenenza con la società italiana, riesce a primeggiare nella speciale classifica dei supposti derelitti e ci riesce anche attraverso il tam tam dei paladini.
Si determinano così una moda ed un contagio che, di volta in volta, impegnano gli aspiranti progressisti doc nel sostegno a spada tratta. Questo dura un po’, si alimenta e si infervora e lascia poi spazio al derelitto o alla situazione di turno .
Più recentemente il sostegno ai gay con tutte le connessioni (non solo la concessione dei diritti civili, il che sarebbe progressismo vero, ma anche la spinta e l’ostentazione verso il forzato riconoscimento di “non diversità” e di “naturalità”).
Per ultimo la moda del profugo ed il relativo contagio.
Insomma sembra proprio che in qualunque contesto, ad esempio anche nello spettacolo e nello sport, se non si introduca un qualsivoglia riferimento apologetico al profugo e non si faccia capire di essere paladini dell’accoglienza totale, non si sia abbastanza moderni, credibili e di successo.
É un’aberrazione mentale.
Oggi un po’ meno di ieri ma sempre di più rispetto agli altri Paesi.
Le ragioni le sappiamo ma due su tutte sono determinanti: Roma é la culla storica del Cattolicesimo, a Roma ha sede il Vaticano e quindi il Papato.
Ma anche questa é utopia … lo é perché il rimpatrio é quasi impossibile (dove, con quali accordi, chi é disponibile a riprenderseli?), come documentano i modestissimi numeri al riguardo.
Ne hanno potenzialità e risorse.
É un’emozione che ti colpisce nello stomaco …. é un’immagine innaturale come nessun’altra … é un’altalena di pensieri e riflessioni che ti attanaglia e ti trasporta -attraverso la rabbia, la pietà, la commozione, l’incredulità, la negazione della bontà divina e lo scetticismo verso la fede e l’esistenza di un Dio, tutti sentimenti che si accavallano e creano un vortice- nella disperazione dell’impotenza e dell’ineluttabilità.
Ma alla fine l’emozione si stempera e lascia il posto alla razionalità: é la vita che si coniuga con la morte.
Non possiamo avere successo contro ciò che é inesorabile e contro cui non possiamo intervenire.

É un’immagine che, improvvisamente, ancorché i media generalmente evitino, per deontologia, di rappresentare crudeltá e raccapricci, ha fatto il giro del mondo. Qualcuno ci ha anche giocato e l’ha strumentalizzata scientemente e deliberatamente al punto che l’immagine di colpo ha scatenato il sentimento umanitario spingendo verso l’accoglienza incondizionata, il soccorso a domicilio e la sacralità del profugo.
O andare a recuperare e salvare tutti i bambini che si trovano in mezzo a tutte le guerre del mondo!
É quello che vorremmo tutti ma sappiamo anche che sono interventi non fattibili …. almeno oltre certi limiti.
tiger

